Libri gay per la Giornata Mondiale del libro 2013


Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore. Ecco alcuni suggerimenti di lettura in chiave queer.

Libri gay per la Giornata Mondiale del libro 2013

Quando si parla di libri gay c’è sempre qualcuno che storce il naso e si chiede se esistano libri etero e che i libri sono libri punto e basta. Ragionamento giustissimo a patto che non si parli più di libri rosa, gialli, di formazione, d’avventura e via dicendo. È innegabile che ci sono dei libri che trattano argomenti lgbti e di alcuni di questi vogliamo parlare oggi, Giornata Mondiale del libro.

Tra i libri (gay!) letti da un anno a questa parte devo confessare che non ne ho trovati molti di belli o interessanti: la pubblicazione in eBook (sia essa con editori o come autopubblicazione) ha visto nascere moltissimi testi a tematica lgbti, ma di questi diversi si fermano al pruriginoso o allo scontato. Naturalmente la mia esperienza è limitata ai libri che ho letto e non a tutti i libri gay pubblicati in Italia nell’ultimo anno.

Interessante è senza dubbio Cani randagi di Roberto Paterlini, romanzo che ha vinto lo scorso giungo il Premio La Giara indetto dalla RAI: quella stessa RAI che spesso e volentieri censura baci gay in televisione ha pubblicato un romanzo a tema gay veramente bello.

Non sono esclusivamente gay ma hanno un filone di lettura lgbti due libri finalisti al Campiello 2012: Il senso dell’elefante di Marco Missiroli con l’intensa figura dell’avvocato Pioppi e Tutti i colori del mondo di Giovanni Montanaro con una interessante riflessione sul maschile e femminile.

Prettamente gay, invece, sono i racconti A pochi passi da te di Roberto Pellico, Di corsa, di nascosto di Francesco Botti e Oltre l’evidenza. Racconti di vita… gay di Francesco Sansone.

Se vi interessa il mondo dell’omosessualità e dello sport, allora il testo Il campione innamorato. Giochi proibiti dello sport scritto da Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano in occasione delle recenti Olimpiadi di Londra fa per voi.

Un ultimo consiglio bibliografico è più manualistico, diciamo così: Giovanni e Paola Dall’Orto hanno pubblicato con Sonda il testo Mamma, papà: devo dirvi una cosa. Come vivere serenamente l’omosessualità. Scritto da una madre e da suo figlio che affronta la questione del coming out sia da parte di un figlio che di una madre.

In ogni caso l’importante è leggere per festeggiare al meglio l’odierna Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore!

queerblog.it


Le Ong informano meglio del Nyt: la sfida del giornalismo ibrido


L’informazione delle Ong a volte ‘batte’ quella della stampa tradizionale. E’ questa una delle principali conclusioni di uno studio dell’Università di Denver sul contributo di quotidiani come il New York Times e Usa Today e alcune Ong ( 350.org, OneClimate, Campagna Globale per l’Azione Climatica) alla diffusione delle informazioni circa la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite a Durban.

Che i nuovi mezzi di comunicazione siano da tempo entrati in una nuova dimensione è cosa ormai accertata. La convergenza tra social network, informazione tradizionale e pratiche di cittadini “reporter” è stata infatti alla base delle primavere arabe, diffondendo notizie e portando alla luce situazioni altrimenti impossibili da sottrarre alla censura di regime.

Ma lo studio dell’università di Denver si concentra appunto sul ruolo/rapporto tra stampe e Ong, rapporto che ridefinisce gli orizzonti della consueta ‘oggettività’ giornalistica, fondendosi con l’informazione ‘di parte’ di queste organizzazioni.

Secondo i risultati della ricerca i quotidiani perderebbero la loro consueta attitudine a informare in modo esaustivo, lasciando spazio alle organizzazioni non governative, che di fatto si trasformerebbero in una sorta di “piattaforma informativa”, nettamente più efficiente di tradizionali colossi editoriali. Questa indiscussa ‘superiorità’ si basa sulla possibilità delle Ong di fornire un’enorme quantità di materiale (video-foto-commenti) ai media tradizionali, che non riuscirebbero a produrre in proprio, associata ad un’altra fondamentale proprietà: quella di permettere l’interattività del pubblico nella formulazione della notizia.

A Durban, infatti, il ruolo delle Ong nel raccontare la conferenza si è avvalso della collaborazione tra attivisti e social media, in modo molto più robusto e dinamico – dice lo studio – rispetto a quello che il New York Times può offrire ai suoi lettori.

In questo modo le Organizzazioni non governative non si limitano soltanto a manifestare la loro posizione su determinate questioni, attraverso manifestazioni o proteste, ma possono aggiungere alle loro funzioni anche quella di “cane da guardia della democrazia” da sempre funzione esclusiva dei giornali.

L’esperienza di Durban ha così potuto dimostrare che la possibilità di interazione tra giornalisti e attivisti delle organizzazioni, interpretando oggettivamente le situazioni attraverso commenti interattivi, contribuisce al progresso del giornalismo, capace di svincolarsi di reinventarsi in nuove e molteplici forme. Pur lasciando irrisolti alcuni problemi di oggettività.

http://ifg.uniurb.it

Cina, Baidu ha la meglio sugli Usa Il motore di ricerca vince il primo round di un processo intentato da otto scrittori di New York.


Baidu, il più importante e grande motore di ricerca su internet made in China, ha ottenuto un importante successo legale negli Stati Uniti. Baidu era stato accusato da otto americani di censurare i contenuti e violare diversi articoli della Costituzione americana, ma il giudice distrettuale di Manhattan ha rifiutato l’accusa, adducendo motivazioni di carattere burocratico. Gli accusatori non avrebbero presentato i documenti necessari.
PROVA DI FORZA DEL SOFT POWER CINESE. Al di là della ragione del rigetto dell’accusa, si tratta di un successo rilevante per Baidu e, secondo molto osservatori, si tratterebbe dell’ennesima prova di forza del soft power cinese anche negli Stati Uniti. Gli analisti cinesi, invece, hanno semplicemente definito il procedimento «ridicolo».
La causa era stata presentata nel maggio 2011 da otto scrittori e produttori video di New York. Secondo gli accusatori, Baidu e Pechino avevano violato il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, oltre a varie leggi civili e sui diritti umani, e «cospirato per sopprimere le loro istanze politiche» dai risultati del motore di ricerca.
DANNI PER MILIONI DI DOLLARI. Secondo i ricorrenti, la censura su Baidu dei contenuti, che potevano essere facilmente trovati in Rete attraverso Google, Yahoo, Microsoft Bing e YouTube, avrebbe dunque provocato milioni di dollari di danni.
Oltre alle motivazioni più burocratiche, il giudice incaricato del caso aveva però precisato alcuni aspetti circa il contenzioso. Secondo quanto riportato dal Global Times, giornale cinese in inglese costola dell’ufficiale Quotidiano del Popolo, i giudici americani si sarebbero espressi come «non competenti» nel decidere se la Cina avesse davvero censurato i contenuti in oggetto. Tanto meno sarebbero stati in grado di indagare un soggetto privato cinese per di più in territorio americano.
Il giudice ha disposto altri 30 giorni affinché le accuse possano essere ripresentate con altre credenziali, dopodiché il caso sarà definitivamente chiuso.
UNA VITTORIA PER PECHINO. Le reazioni cinesi non si sono fatte attendere. Kaiser Kuo, responsabile delle Relazioni internazionali di Baidu ha confermato la «vittoria» senza però rilasciare alcun commento. Alcuni esperti cinesi della Rete, invece, hanno bollato la causa intentata dagli scrittori come «ridicola».
«I provider di servizi Internet per sopravvivere devono rispettare le leggi e regolamenti locali. I risultati di ricerca del motore cinese Baidu sono organizzati secondo le leggi cinesi e non possono essere certo definiti da leggi nazionali degli Stati Uniti», ha affermato Li Yi, segretario generale della China Mobile Industry Alliance Internet. «Pechino non ha voluto farne una questione formale, lasciando la parola al portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu che, respingendo la causa, ha sostenuto che «i giudici stranieri non sono competenti riguardo la legge nazionale della Cina, che è uno stato sovrano».
In Cina la vicenda è stata vista come l’ennesima prova della malafede americana in fatto di Internet.
L’OMBRA DI GOOGLE. Le accuse contro Baidu infatti sono state presentate nel 2011, poco dopo la conclusione della polemica tra Pechino e Google, che aveva costretto il colosso americano a trovare una sede a Hong Kong. All’epoca Google aveva infatto accusato la Cina di censurare i contenuti, minacciando una «liberazione» dei risultati censurati.
Pechino aveva risposto ricordando le leggi nazionali cinesi e sostenendo che la mossa di Big G dipendeva solo dall’esigua quota di mercato nella Rete cinese, dominato da Baidu. Dopo settimane di proteste, con tanto di sit-in di fronte agli uffici cinesi di Google, gli americani decisero di spostare le proprie attività online a Hong Kong.

lettera43.it

Internet, il nazionalismo e la Cyber-guerra fredda


 

Cyber-cop Internet può essere uno strumento straordinariamente potente per l’ oppressione, la sorveglianza, la censura e la propaganda: è l’ altra faccia della medaglia, spesso dimenticata, delle tecnologie informatiche, a cui uno specialista di sicurezza informatica, Bruce Schneier dedica sul suo blog un’ ampia riflessione –
Un’ analisi piuttosto pessimistica, di cui Hubert Guillaud su InternetActu ha pubblicato una sintesi che riportiamo in traduzione italiana – Il rischio, osserva Schneier, è accresciuto dalla ‘’corsa ai cyber-armamenti’’ e dal ‘’nazionalismo digitale’’ che si vanno diffondendo sul globo – E ‘’più ci convinciamo di essere in guerra, più diamo credito alle retoriche scioviniste e più siamo pronti ad offrire la nostra vita privata, le nostre libertà e il controllo di internet ad altri” –

 

E a questo punto,osserva Schneier il pericolo è che “il dispiegamento del controllo governativo possa arrivare fino ai protocolli di internet, fino a ridurre l’ innovazione nata dalla libera concorrenza sulla Rete” – Un appello a “impedire che la pericolosa propaganda della cyber-guerra prenda il sopravvento” – Non possiamo accettare che la tecnologia più stimolante del XXI secolo si riassuma nella nascita del peggiore Stato di polizia che mai avremmo immaginato

 

 

SchneierLo specialista di sicurezza informatica Bruce Schneierha appena pubblicato sul suo blog un articolo molto pertinente su come internet trasformi i rapporti di potere .

 

Vi si spiega che la tecnologia amplifica la forza non soltanto degli internauti ma anche – e sempre di più – dei poteri esistenti.

 

“Tutte le tecnologie di rottura sconvolgono gli equilibri di potere tradizionali, e Internet non fa eccezione. Secondo lo scenario classico esso avrebbe conferito  potere ai meno potenti, ma questa è solo una faccia della medaglia. Internet dà forza a tutti. Le istituzioni potenti  possono essere lente nell’ utilizzare questo nuovo potere, ma, poiché sono forti, possono utilizzarlo più efficacemente. Governi e imprese hanno preso coscienza del fatto che non solo possono utilizzare internet, ma che con esso possono anche controllare  i loro interessi’’.

 

 “Ormai interessi potenti cercano di orientare deliberatamente questa influenza a loro vantaggio”. Alcune aziende hanno creato degli ambient internet che massimizzano il loro rendimento, alcune compagnie fanno pressione sulla legislazione per rendere i loro modelli aziendali più redditizi, gli operatori vogliono essere in grado di distinguere i differenti tipi di traffico, le società di intrattenimento vogliono ammaestrare internet e gli inserzionisti immaginano un accesso illimitato ai dati sulle nostre abitudini e preferenze.

“Dal versante dei governi, crescono i  paesi che censurano internet – e lo fanno in maniera più efficace che mai. La sorveglianza di internet – da parte di governi come delle imprese commerciali – è in crescita e non soltanto negli Stati totalitari, ma anche nelle democrazie occidentali’’.

 

Gli interessi dei potenti riprendono campo e la realtà si rivela molto più complessa di quanto la decantavano  le lodi della Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio di John Perry Barlow. “Era una utopia a cui molti di noi hanno creduto”.  Abbiamo creduto che la generazione di internet, quella che abbracciava  il cambiamento sociale apportato da queste nuove tecnologie,  avrebbe potuto sovvertire le istituzioni dell’ era precedente. Ora è tempo del disincanto.

“La realtà si è rivelata molto più complicata. Abbiamo dimenticato che la tecnologia amplifica la potenza in due direzioni. Quando i meno potenti hanno scoperto internet hanno preso il potere, ma i potenti mastodonti hanno finito per risvegliarsi. Internet non ha solo cambiato i potenti, ma anche i poteti hanno cambiato internet’’. E ormai, gli interessi dei potenti hanno ripreso le redini, sottolinea disilluso Bruce Schneier.

 

“Le discussioni sul futuro di internet sono moralmente e politicamente complicate. Come conciliare rispetto della vita privata e  rafforzamento delle norme per prevenire le violazioni del diritto d’ autore?  O la pornografia infantile? E’ accettabile essere giudicati da algoritmi invisibili mentre utilizziamo i loro risultati? (…) Abbiamo il diritto di correggere i dati che ci riguardano?  Di cancellarli?  Vogliamo dei sistemi informatici che dimenticano le informazioni dopo qualche anno? Queste questioni sono molto complesse e hanno bisogno di un dibattito costruttivo, di una cooperazione internazionale e di soluzioni iterative. Ma siamo  all’ altezza di questi dibattito?”.

 

 

No. Ma non è questo che preoccupa Schneier. “Perché se non cerchiamo di capire come strutturare internet in mdo che i suoi effetti positivi prevalgano su quelli negativi, interessi potenti lo faranno al nostro posto. La concezione di internet non è stabilita una volta per tutte”, ricorda l’ esperto.

 

“La sua storia in fondo è un accidente fortuito determinato da un disinteresse commerciale iniziale, da una negligenza governativa e militare e dall’ inclinazione degli ingegneri a costruire sistemi aperti, semplici e facili. Ma questo miscuglio di forze che ha permesso di costruire l’ internet di ieri non sarà quello che creerà l’ internet di domani. Le battaglie per l’ internet di domani si svolgono ora: nei parlamenti attraverso il mondo, in seno a organizzazioni internazionali come l’ Unione Internazionale delle Comunicazioni o l’ Organizzazione  mondiale del commercio e negli organismi di normalizzazione. L’ internet di domani rischia di essere rimodellata da organizzazioni, società e paesi secondo i loro interessi e le loro agende specifiche. Bisognerà battersi per avere un posto ai tavoli di negoziato, altrimenti il suo futuro non ci apparterrà!”

 

 

 Il  nazionalismo  internet

 

In un editoriale sulla Technology Review, Schneier torna sull’ ondata di quello che lui chiama ‘’nazionalismo internet”. Mentre si pensava che la tecnologia fosse destinata a ignorare le frontiere, ad avvicinare il mondo e ad aggirare l’ influenza dei governi nazionali, ecco che essa favorisce un nuovo nazionalismo. Gli Stati Uniti sono preoccupati per i prodotti che arrivano dalla Cina, le aziende europee temono i servizi informatici dislocati sulle ‘’nuvole’’ Usa, nessuno ha fiducia nei prodotti israeliani e Russia e Cina sviluppano i loro sistemi per evitare di utilizzare materiali e programmi esteri…

 

 “Le grandi nazioni del mondo sono entrate nella prima fase di una corsa alla cyberguerra e tutti noi verremo feriti dai danni collaterali.”

 

Il cyberspionaggio e i cyberattacchi non sono solo opera dei cinesi. Tutti cercano ormai di spiare tutti attraverso le Reti.

 

“Nello stesso tempo sempre più paesi mettono a punto sistemi di controllo di internet all’ interno delle proprie frontiere. Si riservano il diritto di spiare, di censurare, di limitare la capacità degli altri di fare la stessa cosa.”

 

E’ quello che – con un eufemismo – viene chiamato ‘’il movimento per la cyber sovranità”, che è stato al centro dell’ ultimo summit dell’ Unione internazionale delle telecomunicazioni del dicembre scorso a Dubaï. Un analista ha definito quell’ incontro la Yalta di internet, il momento in cui internet si è spaccato fra paesi democratici e paesi autoritari. “Non penso che esagerasse”, confessa Schneier.

 

Le tecnologie dell’ informazione sono uno strumento straordinariamente potente per l’ oppressione, la sorveglianza, la censura e la propaganda, ricorda l’ esperto.  “Il problema è che più ci convinciamo di essere in guerra e più diamo credito alle retoriche scioviniste e più siamo pronti ad offrire la nostra vita privata, le nostre libertà e il controllo di internet ad altri”.

 

La corsa agli armamenti è alimentata dall’ ignoranza e dalla paura e si traduce in una escalation nello sviluppo di cyber-armi per l’ attacco e in un aumento della cyber-sorveglianza per la difesa. Il pericolo è là. Il rischio è di avere come conseguenza il dispiegamento del controllo governativo fino ai protocolli di internet, fino a ridurre l’ innovazione nata dalla libera concorrenza sulla Rete.

 

 “Siamo sul punto di entrare in una Guerra fredda dell’ informazione? – si chiede Schneier.“Quello che è sicuro è che coloro che suonano i tamburi di cyber-guerra non propongono affatto di difendere gli interessi migliori di internet o della società” conclude Schneier, lanciando un appello a impedire che la pericolosa propaganda della cyber-guerra prenda il sopravvento.

lsdi.it

Schmidt in Myanmar: Internet driver di democrazia


Il presidente esecutivo di Google in visita nel Paese asiatico uscito due anni fa dalla dittatura e considerato la nuova frontiera Ict: “Bene l’apertura alla rete, ma serve che il governo si tenga alla larga dalle leve del web”

di L.M.
Internet ha il potere di sostenere il cambiamento politico in Myanmar (ex Birmania): lo ha detto oggi Eric Schmidt, presidente esecutivo di Google, in visita nel Paese asiatico che da un paio di anni sta sperimentando una rapida trasformazione politica ed economica dopo decenni di dittatura militare e che è già visto da molti occidentali come la nuova frontiera dei mercati asiatici.

Parlando a un gruppo di giovani e imprenditori a Yangon, la città principale, Schmidt ha detto: “Il vostro governo ha preso una decisione politica particolarmente importante: ha aperto il Paese alle idee straniere, a Internet, alla vostra comunicazione e ai vostri giornali. L’uso del web renderà impossibile tornare indietro”. A chi gli chiedeva consigli su questo settore in via di sviluppo, il presidente esecutivo di BiG ha risposto: “Per prima cosa cercate di tenere il governo fuori dai regolamenti sul web”.

Sotto il regime militare, Internet e i media tradizionali erano soggetti a stretto controllo e censura, ma da quando, nel marzo 2011, è salito al potere il presidente Thein Sen, la vigilanza si è allentata.

Schmidt, che a gennaio aveva visitato la Corea del Nord, dove vige ancora un regime dittatoriale, è in Myanmar nell’ambito di un tour asiatico che lo porterà anche in India.

L’ex Birmania è finita sotto osservazione da parte degli investitori stranieri per il potenziale di crescita: su circa 60 milioni di abitanti la penetrazione dei dispositivi mobili è stimata finora tra il 5 e il 10%. Se, come molti prevedono, il ritorno di un governo più democratico porterà con sé la modernizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e una rapida crescita nell’uso di device, Google sarà pronta a fare il proprio ingresso nel Paese. Peraltro Schmidt, che incontrerà in queste ore anche il presidente Thein Sen, ha affermato: “Nei prossimi anni il business più proficuo in Myanmar sarà quello dell’industria delle telco”.

corrierecomunicazioni.it

I giorni della censura ungherese


L’Europa è guardinga nei confronti dell’Ungheria e lo scetticismo è la valutazione in atto delle ultime pratiche politiche avviate dal leader ungherese Viktor Orban che ha messo le mani sulla Costituzione.

DEMOCRAZIA A RISCHIO –  L’Unione Europea si è infuriata per le modifiche che Orban ha attuato alla Costituzione del paese. Il Financial Times ha scritto: “Gli oppositori dicono che gli emendamenti contengono disposizioni che non solo mettono in pericolo l’indipendenza della magistratura ma possono violare la libertà di religione e la separazione tra Stato e Chiesa. Inoltre, ci sono norme che spiegano che la coppia eterosessuale e quindi le relazioni del matrimonio e del rapporto padre-figlio sono il fondamento della famiglia”. Bruxelles ha richiamato più volte Budapest perché, di fatto, Orban ha firmato la legittimazione del suo ‘golpe bianco’ tanto che Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, la scorsa settimana ha invitato alla valutazione delle nuove misure adottate in Ungheria. Der Spiegel scrive “gli emendamenti ungheresi rappresentano una minaccia  alla libertà di stampa, all’indipendenza della Banca Centrale e del sistema giudiziario e di altre istituzioni dello Stato” e Schulz ha detto che l’UE valuterà se la mossa di Orban rappresenta una “violazione delle regole europee” e, se così fosse, l’Ungheria sarà soggetta a conseguenze penali come quelle previste dall’articolo 7 del trattato UE che prevede la cacciata di uno Stato membro se “gli stati membri rilevano “una violazione dei valori UE”.

LA BATTAGLIA DI KLUBRADIO – The New York Times racconta la storia di Gyorgy Bolgar di Klubradio che ha accusato il primo ministro Orban di aver messo a rischio l’economia del paese, di tassare le emittenti e di imbavagliamento dei media: il tutto è avvenuto in diretta radiofonica. In risposta, gli ascoltatori hanno commentato accusando il governo di essere vendicativo e assetato di potere e uno ha detto: “Orban è molto intelligente ma abbiamo a che fare con la sua arroganza”. Klubradio è un network che, secondo quanto racconta il direttore Andras Arato, si è trovato al centro di una guerra da parte del governo che “puntava a portare la radio al silenzio”. Il giornale americano scrive che lo scontro è “un tentativo di Orban di reprimere i media con ogni mezzo, come del resto ha intenzione di fare con la magistratura, la banca centrale e l’istruzione”. Per due anni, l’ente che distribuisce le frequenze ha rifiutato di rinnovare le frequenze alla radio, nonostante tre sentenze a favore. L’emittente è riuscita ad ottenere solo le frequenze a breve termine con scadenza trimestrale per due anni e l’incertezza ha spaventato gli inserzionisti al punto che gli investimenti sono crollati  e oggi la stazione è a rischio. Solo la quarta sentenza discussa la scorsa settimana ha premiato Klubradio con le frequenze non più a breve scadenza, il successo è anche opera dei migliaia di sostenitori e della pressione internazionale: “Al governo non piacciono le critiche e ci ha fatto la guerra fino alla fine”.

DEMOCRAZIA A RISCHIO – I critici sono preoccupati soprattutto dalla legge restrittiva che, di fatto, limita la libertà dei media, per questo l’UE sta monitorando la situazione e l’attenzione sull’Ungheria resta alta. Il N.Y.T. ha detto che il governo ha inserito un aggiornamento ulteriore ovvero una disposizione che autorizza gli agenti di polizia ad esigere il nome delle fonti dei giornalisti. La mossa di Orban preoccupa i leader europei e Angela Merkel ha detto che: “il governo non deve ‘abusare’ della sua maggioranza parlamentare” e poi ha ricordato che la Commissione Europea indagherà sulle modifiche costituzionali. Budapest ha risposto accusando l’UE di interferire con gli affari interni del paese. Peter Hack, docente dell’università Elte di Budapest ha dichiarato che con la sua attuale configurazione costituzionale: “L’Ungheria non sarebbe mai entrata a far parte dell’Unione Europea ma adesso che è dentro, crede di poter fare quello che vuole”. Ferenc Kumin, un portavoce del governo ungherese, ha così commentato le polemiche: “Quasi il 75% dei mezzi di informazione ungheresi è di proprietà straniera e Klubradio ha lavorato a una campagna per screditare governo mentre i suoi collaboratori vorrebbero passare per ‘martiri della libertà’”. Orban guadagna sempre più potere ma i mercati sembrano bocciare le sue scelte e il Pil è caduto del 2,7% rispetto all’anno scorso.

(Photo Credit/Getty Images)                 FONTE